L’era della consapevolezza (digitale)

Penso che sia iniziata un’era di consapevolezza (digitale).

Quell’aggettivo lì, (digitale), continuerò a metterlo tra parentesi perché è importante farlo. Metterlo tra parentesi ci ricorda che veniamo dall’era della non-consapevolezza.

Nell’era della non-consapevolezza c’erano due mondi: quello reale e quello digitale.
Il secondo era un mondo dove, secondo alcuni, non valevano le regole che valevano nel primo.

Era un mondo dove il valore non era percepito. Era un mondo dove potevi moltiplicare all’infinito gli “utenti” – termine orrendo sulla cui abolizione abbiamo già detto ampiamente. Era un mondo dove c’erano i trucchi. Era un mondo dove non valevano le leggi che valevano nel mondo reale.
Era un mondo che avrebbe lavorato al posto tuo, perché accendere un computer o mettere su un blog ti avrebbe portato soldi facili. Era un mondo dove si annidavano pericoli che nel mondo reale non c’erano.

Bene: quel mondo lì non è mai esistito.

Nell’era della consapevolezza (digitale), è la prima cosa che abbiamo capito.

C’è sempre (c’è sempre stato), solo, un mondo, il nostro, e ci sono strumenti che cambiano e che hanno a che fare con un’unica realtà: quella che viviamo. Non so dire esattamente perché si sia creduto all’altro mondo. Forse perché era esclusivo, perché aveva barriere d’accesso altissime, perché parlava un linguaggio troppo tecnico, perché competenze umanistiche e tecnologiche non si sono parlate, perché non si sono consegnati a tutti gli strumenti per accedervi, forse per una combinazione di tutti questi motivi. E forse, anche per la natura umana che cerca scorciatoie dove può. In qualche caso, ad ogni costo.

È vero, ammetto che i segnali intorno a noi non sembrerebbero suggerire quest’era di consapevolezza (digitale).

– ci sono quelli che vogliono isolare le proprie internet tirando su muri. Sono muri che hanno nel cervello, come i confini
– ci sono le ex élite (o quelli che pensavano di far parte di un’élite) che, a destra come a sinistra, vorrebbero le strette sul copyright, il controllo, la censura
– ci sono quelli che ti mettono in guardia dai pericoli del digitale e, raramente, quelli che ti raccontano le possibilità
– ci sono quelli che la carta è approfondimento, il digitale spazzatura, anche se il giornale di carta, per dire, una volta stampato e finito il suo giro (sempre più ridotto, purtroppo) è e resta un oggetto che si deteriora rapidamente il cui ciclo di vita è molto più basso di un buon contenuto digitale che si provvede a mantenere
– c’è l’uso spregiudicato delle piattaforme digitali che ti consentono di adoperare trucchi classici del mondo “reale” con una spruzzatina algoritmi
– ci sono i troll, i commentatori che inquinano le conversazioni digitali e via dicendo (ma, grande novità: ci sono sempre stati!)
– ci sono (hah) le fake news (se vuoi sapere perché la risatina, qui c’è un mio pezzo sulle fake news)
– ci sono quelli credono alle fake news

Bene, tutti questi segnali negativi, tutti i segnali negativi che vorrai vedere, sono segnali reazionari.
Per ognuno di quei segnali se ne può trovare uno positivo, uguale e contrario o più potente.

I muri tirati su per dividere sono destinati a far la fine di tutti i muri tirati su per dividere: prima o poi, ammesso che si riesca a costruirli, verranno abbattuti.

Le persone nate nella realtà che può approfittare anche dello strumento digitale hanno o stanno maturando i loro anticorpi. Si torna a parlare di relazioni, di community (sembra di essere negli anni ’90, o magari addirittura negli anni ’50 o anche prima, visto che le comunità sono sempre esistite), si comincia a scappare dalle formule preconfezionate. Si avverte il bisogno di strumeti. Cedre alla visione pessimistica adesso, proprio adesso, sarebbe folle.

C’è tanto lavoro da fare. Ma è iniziata l’era della consapevolezza (digitale).

E se non è proprio iniziata del tutto, sta gemmando e bisogna lavorare perché quelle gemme possano fiorire.

Photo by 1AmFcS on Unsplash

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