Emergenza e business: chi ci guadagna?

L’articolo su Repubblica a proposito del sistema Carminati inizia così: «Quello che per l’Italia è emergenza, per Mafia Capitale è business». Splendido attacco. Ci vorrebbe, però, anche la profondità di analisi per costruire da questo ennesimo esempio il teorema. Tutto ciò che è emergenza è anche business. E quindi il giornalista dovrebbe fare domande e trarre conclusioni. Per prima cosa, ogni volta che viene decretato uno stato d’emergenza formale o informale (post terremoto, per l’immigrazione clandestina, perché ce lo chiede l’Europa, perché il cambiamento è urgente), chiedere e chiedersi: «Chi ci guadagna?»

Ogni volta che si apre il vaso di Pandora su qualche scandalo, il giornalismo appare senza memoria. Come il normale cittadino.

Nel 2011, parlando di Cie e campi nomadi, dell’”emergenza rom”, di Alemanno e compagnia, scrivevo:

«Un interlocutore unico dal volto buono è un punto di partenza fondamentale per gestire l’emergenza secondo criteri ben noti, con un filo rosso che unisce i Cie, i campi nomadi, le catastrofi naturali. L’emergenza svincola dalle leggi e genera profitti, politici ed economici. Il no profit e il sociale garantiscono il sostegno dell’associazionismo. L’associazionismo fa sembrare ogni intervento virtuoso. La virtù genera consenso elettorale. Il consenso elettorale porta all’elezione e l’elezione permette di gestire gli appalti». [Croce rossa – Il lato oscuro della virtù]

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