Tutto in una foto

Penso che fosse il 1987, o giù di lì. Non ci sono metadati a supportarmi nel ricordo, se non il fatto che il libro di Mario Soldati, El paseo de Gracia, è stato pubblicato proprio in quell’anno e quindi ipotizzo che sia quello.
L’alternativa per la datazione sarebbe ben 5 anni dopo – 1992, fra poco vediamo perché – . Ero troppo piccolo/giovane per leggere quel libro, ma ricordo che ero emozionato: credo che fosse quel tipo di emozione che dipende dall’essere di fronte a qualcosa che percepisci come eterno, o comunque molto più duraturo di te. Non so nemmeno se quell’emozione abbia un nome.
 
Il signore fra me e Mario Soldati è mio nonno, Luciano Cattero, del quale ho già raccontato spesso, anche se meno di quanto avrei voluto.

Quel giorno eravamo nel giardino della IREM, se non sbaglio, a Sant’Antonino, ospiti di Mario Celso. Fra mio nonno e Mario Soldati c’erano vent’anni di differenza.
Mario Celso, l’ospite dell’evento, rappresenta una di quelle eccellenze innovative italiane che ci dimentichiamo di avere: aveva vinto l’Oscar per il merito tecnico (Technical Achievement Award) nel 1992 (per questo aggiungo come ipotetica quella data, anche se dubito fortemente e più ci penso più propendo per l’87, anche a giudicare dalle mie fattezze) per un’invenzione utilizzata ini tutto il mondo: il raddrizzatore elettromeccanico per proiettori. Quell’anno Celso e Soldati furono ospiti di una cerimonia al Cinema Massimo.
 
Mario Celso è morto nel 1994. Al suo funerale suonai con la banda del paese di Sant’Antonino di Susa – all’epoca suonavo il clarinetto. Fra gli altri brani eseguimmo un Amazing Grace struggente e devastante, per me. Era luglio, faceva un caldo epocale e lacrime e sudore non le distinguevo. L’emozione di quella giornata, probabilmente, è quella che si prova quando si riscopre la morte.
 
Mio nonno e Celso erano amici per puro caso: storie diverse, diversi tipi di successi e di scelte personali. Di Celso ricordo, fra l’altro, che mi invitò a casa sua a spiegargli il computer(!). Di entrambi conservo i ricordi delle lunghe chiacchiere al bar su tutti i temi dello scibile, col sottoscritto molto più che accettato in quella bella compagnia. Eravamo felici, non si può dire il contrario.

Mario Soldati è morto nel 1999.
Mio nonno nel 2013. 

La foto l’ho ritrovata mentre facevo ordine in casa e sistemavo, finalmente, un piccolo angolo adibito a studio, dove conservo troppe cose – meno di quelle che vorrei – e dove avevo bisogno di far posto alle novità senza triturar via il passato.
Fare ordine è una delle prime regole per il Meno, meglio che sto facendo entrare nella mia vita e che propongo alle persone che lavorano con me. L’ordine fisico diventa veicolo di un ordine mentale che penso sia normale cercare di perseguire dopo le naturali pulsioni al caos giovanile: mi sono reso conto, nel tempo, di non avere davvero abitudini e di aver bisogno di costruire la mia “zona di comfort” non solo mentale, ma anche fisica. Per uscire dalla propria “zona di comfort” e sperimentare bisogna prima averla.
In quella foto c’è tutto quello di cui mi sono occupato e di cui mi occupo: la comunicazione, il cinema, le emozioni e le comunità, l’innovazione e le radici, la tecnologia e l’umanità, le storie e la passione, lo sguardo verso il futuro, il ricordo del passato, la vita del presente. In quella foto ci sono tutte le spinte che mi impediscono di trovare una casellina in cui definirmi e che, quindi, mi fanno sentire vivo.

In

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.