Elogio della verticalità (o del tematico)

[Questo pezzo è stato scritto originariamente il 2 agosto 2014. Lo ripropongo oggi, 10 maggio 2016, nel giorno in cui Mondadori acquisisce definitivamente Banzai per 45 milioni di euro + 7 milioni di spazi pubblicitari. Nel giorno in cui la nota di Mondadori spiega fra l’altro che l’operazione «consentirà una profilazione dell’audience in target specifici, permettendo maggiori opportunità di monetizzazione». Nell’estate del 2014 questo pezzo suscitò qualche commento di approvazione (per esempio dal mai troppo apprezzato Robin Good, da tempo sostenitore delle nicchie verticali) e qualche ilarità. Oggi, probabilmente, grazie alla valutazione (spropositata? Al momento importa poco) delle verticalità di Banzai, l’elogio della verticalità (o del tematico) non susciterà più alcuna ilarità]

 

Verticale è bello. Lo dico, più o meno, da quando sono diventato direttore di Blogo.it, raccogliendo l’eredità di uno dei fondatori del progetto Blogo (Francesco Magnocavallo). Era il mese di giugno del 2012, e non ho cambiato idea. Dopo essermi orientato nell’universo Blogo (fino a quel momento mi ero occupato – un po’ fortunatamente, un po’ per bravura della redazione e mia – con successo di TvBlog.it) e averne capito per bene le potenzialità, ne sono stato certo. E lo sono anche adesso. E così, questo è uno dei miei contributi a proposito della grande questione della sostenibilità dell’editoria online. Che prescinde da altri tipi di considerazioni e si concentra sulla tipologia dei “prodotti editoriali”.

Cosa si intende per “verticalità”, nell’informazione e nella produzione di contenuti online?

Ammetto che il termine è di quelli veramente orrendi. Tant’è che ne ho cercato, fin dal titolo, un sinonimo plausibile.

Verticale significa, nel linguaggio del (social) media marketing, tematico. Allora uno dice: perché non dici “tematico”? Semplice: perché ho paura che se dico tematico, poi qualcuno fraintende e pensa che io sia “vecchio”. Il fatto è che tematico, in italiano, è il contrario di generalista.

E il mio è proprio un elogio del tematico.

Ma siccome si rischia che a chi fa marketing, a chi si ritiene “moderno” o “contemporaneo” non piaccia il termine, facciamo che questo è un elogio del verticale, cioè facciamo finta, lasciando perdere le mie idiosincrasie linguistiche, che verticale sia sinonimo di tematico e che, soprattutto, sia il contrario di generalista.

Ci siamo? Bene.

Allora questo è per tutti un elogio della verticalità (e per gli amanti dell’italiano e del bel parlare un elogio del tematico).

Penso sinceramente che il modello della diversificazione del prodotto su base verticale (o tematica: giuro, è l’ultima volta che faccio la distinzione) sia un modello a medio-lungo termine sostenibile. Il concetto di medio-lungo termine è fondamentale, perchè nell’editoria online (così come in quella offline) bisogna sempre considerare che la crescita non può essere di breve periodo (e se lo è, bisogna diffidarne nella stragrande maggioranza dei casi).

Ecco perché verticale è bello da tutti i punti di vista (quello dell’editore, quello del lettore, quello degli inserzionisti, quello degli autori e dei giornalisti):

– la verticalità ti consente di approfondire al massimo un argomento, con un livello di attenzione che non potresti garantire su una testata generalista;
– la verticalità ti consente di individuare in maniera chiara il tuo pubblico (amanti della tv, mamme e papà, amanti del calcio, amanti della moda, amici degli animali, appassionati di motori, amanti degli sport, della tecnologia, della cucina etc.) e dunque di avere target di interessi specifici;
– la verticalità ti consente di far sapere ai tuoi lettori che in quel tal sito parlerai di quell’argomento specifico;
– la verticalità ti consente di competere molto bene nelle “SERP” di Google;
– la verticalità ti consente di occuparti di qualunque argomento senza dovertene vergognare (per esempio, se hai deciso che non vuoi rinunciare agli argomenti di intrattenimento più leggero e futile, perché comunque esistono fette di pubblico interessate a quel tipo di argomenti, se hai Gossipblog, insomma, puoi tranquillamente parlare di gossip. Della patata di Laura Pausini, per capirci; se hai Happyblog, puoi tranquillamente parlare di video virali, cose stupide, cose che su un generalista sarebbero da colonna infame – si veda, per dire, la colonnina di destra di Repubblica.it) e senza perdere di credibilità (su Polisblog non troverai il twerking di Miley Cyrus, puoi starne certo);
– la verticalità ti consente di avere più “brand” di riferimento, sebbene racchiusi sotto un’unica testata;
– la verticalità ti consente di raggiungere tutte le nicchie. La cui somma, ovviamente, è maggiore della somma delle singole parti;
– la verticalità può essere selettivamente utilizzata per una vetrina generalista;
– la verticalità è perfetta per le tecniche “live”;
– la verticalità è un ottimo vettore di traffico, soprattutto in un mondo in cui il traffico va al contrario di quanto piacerebbe ai feticisti della teoria (procede, cioè, dal pezzo alla homepage, eventualmente, e non viceversa, e bisogna farsene una ragione);
– la verticalità ti consente di fare un lavoro che a medio-lungo termine costruisce lettori-community;
– la verticalità è “condivisibile”. Nel senso che è ottima per i social network e per i fan (anche qui, che si possono targettizzare in maniera notevole);
– la verticalità, se la sfrutti bene, può essere una via per rinunciare al traffico mordi-e-fuggi e per costruire lunghi tempi di permanenza. Ma può anche acchiappare il traffico mordi-e-fuggi e poi acquisire, con il tempo, lettori diretti, che non provengono solo dal SEO o dai social network ma che si appassionano a quel che trovano;
– la verticalità, se fai lavorare e coordini bene persone pagate, appassionate e competenti che amano il proprio lavoro (e magari se riesci anche a farle lavorare in un clima piacevole), è anche garanzia di “qualità” (sì, mi rendo conto che il concetto sia uno di quelli talmente labili da essere declinabile in qualunque modo, ma credo che sappiate cosa intendo, se siete arrivati fin qui);
– la verticalità, se sfruttata bene, è l’equivalente di avere un’enorme, accogliente edicola con una vastità di scelta che copre tutto lo scibile e che aspetta solo di essere scoperta, sponsorizzata, spulciata in tutti i suoi contenuti.

E’ tutto, anche se ci sarebbe da dire ancora molto. Nulla di generalista può permettersi i lussi che si concede la verticalità.

C’è chi dice che la verticalità non sia facilmente “monetizzabile” (altro termine orrendo). Io penso che un modello di successo dal punto di vista dei contenuti lo sia sempre. Basta lavorarci.

[Da leggere, sull’editoria online, mica solo sulla verticalità:

* Il giornale on line è morto o forse non è mai esistito (3 luglio 2014)
* Cosa si impara lavorando in un giornale digitale di Marco Alfieri (26 giugno 2014)
* Linkiesta, 1 milione e 100mila euro entro un mese per evitare la liquidazione di Gabriele Principato (28 giugno 2014)
* Giornalismo imprenditoriale. Dove ci porta il “modello” Forbes? di Lelio Simi (15 luglio 2012)
* Digital first, globale, locale: la (ennesima) lezione di giornalismo del Guardian di Andrea Iannuzzi (24 luglio 2014)
* Lucia Adams, making digital journalism sustainable, presentazione di Lucia Adams (29 luglio 2012)
* The Future of the News Business: A Monumental Twitter Stream All in One Place di Marc Andreesen (25 febbraio 2014)
* News, editoria: una nascente industria sostenibile di Luca De Biase (27 febbraio 2014)
* Lucia Annunziata, Huffington Post Italia: “I blog non sono un prodotto giornalistico” di Alessandro Pignatelli (24 settembre 2012)
* What now for news? di Jeff Jarvis (10 febbraio 2014)
* First Look Media Video from January 2014, video pubblicato su First Look, progetto editoriale di Pierre Omidyar (27 gennaio 2014)]

Elogio della verticalità

11 risposte

  1. Da questo testo ho capito i vantaggi giornalistici della tematizzazione, ma non ho capito come monetizzarli per trasformarli in vantaggi. Per me l’unica via e’ rompere la barriera della rete per generare tutti i possibili prodotti derivati. Nel caso di polisblog, che e’ quello che conosco meglio, i prodotti derivati possono essere libri cartacei o ebook con “riassunti” periodici del tipo “l’annata politica del 2013 in pillole”, iniziative dal vivo, organizzazione di eventi, collaborazioni con emittenti locali radiofoniche e televisive, formazione per giornalisti (previo accreditamento presso gli ordini regionali), iniziative teatrali di approfondimento politico (mica c’e’ solo Travaglio che e’ bravo a narrare le notizie), e questi sono solo alcuni degli esempi che mi vengono in mente. In altre parole, bisognerebbe curare molto la post-produzione, perche’ i contenuti del web, una volta prodotti, non rimangano nel limbo elettronico in attesa che qualcuno li recuperi con un motore di ricerca, ma continuino a vivere in altre forme.

    1. Hai ragione. Ho volutamente evitato di parlare di come “monetizzare”, in primis perché la parte di lavoro che mi compete più da vicino è quella di fornire, curare, espandere un modello editoriale che possa essere “monetizzato” . Quando parlo di “monetizzato”, oggi, parlo essenzialmente di traffico purtroppo, e di un meccanismo tradizionale di “sponsorizzazione”, se mi passi il termine banale.

      Per parlare di come “monetizzare” alternativamente ci vorrebbero giorni e tonnellate di righe e un altro dibattito (e sarebbe bello che intervenisse qualche addetto ai lavori), anche perché c’è tutto un mondo, quello degli investitori, quello dei centri media e compagnia cantante, che deve per forza cambiare mentalità.

      Gli spunti che offri tu sono senz’altro interessantissimi e potrebbe essere una direzione verso la quale dirigere progetti editoriali nuovi, e verso la quale indirizzare a poco a poco anche progetti che esistono da tempo (anche se in questo caso mi sembra sempre più difficile, perché si tratterebbe di imporre cambiamenti e – dal mio punto di vista – miglioramenti che non è detto che siano accettati).

      Non dimentichiamoci che, generalmente, nell’imprenditoria italiana – l’editoria non fa eccezione – si capisce solo il concetto di ciò che è misurabile (e spesso si trattano gli articoli come se fossero, che so, lattine) e difficilmente si apprendono lezioni “rischiose” come quella del Guardian.

      La verticalità, però, è perfetta per il modello di post-produzione che suggerisci, per esempio, proprio perché ospitando esperti di temi ben declinabili offre la possibilità di avere un target di riferimento anche per i prodotti derivati.

  2. Benvenuto Alberto, nel mondo delle “nicchie”, verticali e tematiche. E’ un piacere cominciare ad avere qualche giornalista a bordo. Ci servono persone di persone e vedute più ampie di quelle di chi fa solo marketing.

    …e grazie sopratutto per aver così ben dettagliato ai tuoi colleghi, tutti i vantaggi che operare in questa direzione offre.

    Il futuro del giornalismo passa tutto di qua.

    1. Grazie.

      Lieto di vedere un tuo commento su queste pagine (ti leggo da molto tempo).

      La verità, per quel che mi riguarda, è che sono dentro alla verticalità fino al collo (anche nei miei lavori “offline”) e non posso fare a meno di vederne i vantaggi. Anch’io sono sempre più sicuro che questo sia il futuro del mestiere giornalistico. Ma non so quanto tempo ci vorrà, perché questo futuro si concretizzi. Di sicuro in molti (editori, centri media, investitori e giornalisti) devono cambiare mentalità, perché accada.

  3. […] le avventure di Slow News, di Wolf, quel che scrive da tempo il sottoscritto, sa bene che qui siamo sostenitori delle nicchie: ecco, Martel va a provare quel che Jarvis sostiene da un punto di vista teorico. Non esiste un […]

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  5. […] Questo significa individuare una o più nicchie di riferimento (secondo il principio della verticalità) e servirne i bisogni, differenziando e specializzando l’offerta sia da un punto di vista dei […]

  6. […] Le nicchie sono un luogo dove si può offrire un servizio sostenibile: viva le verticalità. E le loro comunità di riferimento, con i loro bisogni e i servizi che […]

  7. […] questo modello costringe a essere generalisti e che oggi non sia più possibile essere generalisti (il mio primo elogio pubblico della verticalità risale al 4 agosto 2014. Chi ha lavorato con me sa che è una tesi che sostengo da […]

  8. […] perfettamente coerente con la necessità di verticalizzare l’offerta per servire i pubblici diversi e con l’impossibilità ad essere […]

  9. […] perfettamente coerente con la necessità di verticalizzare l’offerta per servire i pubblici diversi e con l’impossibilità ad essere […]

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