Castelli di sabbia

È vero, principe, che lei una volta ha detto che la ‘bellezza’ salverà il mondo?L’idiota, Fëdor Dostoevskij

Un anno fa, mia figlia si sedette in un castello di sabbia abbandonato: rideva, guardando le torrette e i muri intorno a lei. Poco dopo arrivò un altro bimbo e distrusse a calci il castello di sabbia. Mi sembrò una rappresentazione, tremendamente realistica, di quel che succede con certi edifici che sarebbero più che sufficienti per dare dimora ai senzatetto. In Italia, l’invenduto è pari a 540mila abitazioni [Il Sole 24 Ore, 2014]. Più difficile scoprire quanti siano i senzatetto: chissà come mai. Forse è un dato scomodo? Tant’è, a Milano sono oltre 2600 [Lavoce.info. Il dato è del 2013 e nelle tabelle si nota come il numero sia in crescita notevole]. A Roma sono oltre 3200 [West-info.eu]. In tutta Europa, per avere un’idea del fenomeno sono stati stimati in circa 3 milioni (ma era il 2004. La stima era del progetto Unhabitat, e il numero è sicuramente in crescita).

È vero, era solo un castello di sabbia. Ma a volte ritornano.

Oggi è capitato questo. Avevamo costruito un castello di sabbia. Cinque torrette, un fossato intorno, un ponte, una specie di laghetto. Poi siamo tornati in casa. Mia figlia ha dormito, io ho lavorato. Quando si è svegliata, le ho chiesto, con mia moglie: «Chissà se ritroviamo il castello di sabbia». Nostra figlia ha risposto: «Boh». E io le ho detto: «Be’, se non lo troviamo, lo rifacciamo, va bene?»

Siamo scesi in spiaggia e il castello che avevamo lasciato era cresciuto ed era stato abbellito. Un altro muro, una montagna, delle palme, una pianta, alcune casette, campi coltivati.

Un anno dopo l’episodio dell’occupazione-distruzione, non ho potuto fare a meno di pensare anche questa volta alla potenza metaforica di questo evento, di per sé insignificante: sappiamo bene che le cose accadono non in virtù di un disegno o per indicarci una via o per avere un significato. Accadono, e basta. E i significati li attribuiamo noi. E le coincidenze non esistono.

Però oggi è successo questo, in definitiva: è successo che abbiamo lasciato qualcosa di fatto da noi, lo abbiamo trovato migliorato.

Certo, nel nuovo castello di sabbia c’erano cose che io non avrei messo, ma c’erano tutte quelle che avevamo lasciato.

È così che dovrebbe funzionare la collaborazione sociale che immagino.

Una collaborazione non distruttiva, non competitiva: ciascuno mette in comune qualcosa di proprio per contribuire a fare qualcosa di bello, di diverso, di altro. Insieme. E poi lo lascia lì, a disposizione degli altri. E quando ne ha bisogno torna a usarlo e, quando può, a dare il proprio contributo.

Dovrebbe essere un principio alla base della collaborazione fra chi non si è seduto dalla parte dei vincitori. Peccato che noi vinti ci siamo cascati, facili vittime della trappola che si nasconde nel denaro, nel dare a tutto un valore economico. Il marketing politico ci ha convinti che il nemico è fra di noi. La narrazione di massa ha svuotato le parole dei loro significati, ha piallato la nostra immaginazione: non potremo mai avere un castello, figurarsi se possiamo metterci a costruirne uno insieme agli altri. Figurarsi se possiamo fidarci.

Sì, d’accordo. Anche questa volta era solo un castello di sabbia.

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[Nella foto, il castello di sabbia dopo l’intervento degli sconosciuti che lo hanno fatto crescere e migliorato. È una storia vera]

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